news 19 luglio 2001

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NAB 2001 – il punto su 'cinema e digitale'
di Stefano Voltaggio

Cercare di fare uno schizzo della situazione del rapporto tra cinema e digitale, oggi, è piuttosto complicato. Tanto per cominciare, vanno definiti i campi d’applicazione del digitale nel cinema, che sono diversi e che rispondono a logiche ed a esigenze diverse.


Non sarebbe male, peraltro, dare prima di tutto una definizione del termine stesso. Cosa significa digitale? Non è semplicemente il contrario di analogico.
Tant’è vero che non si è mai dato il caso che qualcuno definisse i tradizionali processi di lavorazione cinematografica come cinema analogico, mentre tutti oggi si riferiscono vagamente al cinema digitale. Ma, tornando al concetto di partenza, quello per il quale cerchiamo di capire il rapporto tra cinema e digitale all’alba del Terzo Millennio, basta cominciare con una considerazione banale. Il termine ‘cinema’, indica allo stesso tempo ed in modo abbastanza confuso, un’industria ed un’arte – cioè un complesso di fattori produttivi e culturali. Il termine ‘digitale’ indica, nella sua accezione più generale un metodo, quello del calcolo numerico, per raggiungere obiettivi tra loro molto diversi. Dunque le due cose non possono essere messe sullo stesso piano: non esiste, a rigore, un cinema digitale. Esiste il cinema, per fare il quale, può essere inserito, a volte, un metodo particolare di lavoro, che è quello riconducibile alle tecnologie digitali.
Scusandomi per la noiosa digressione etimologica, vengo al punto. Il motivo per cui c’è tanta confusione intorno alle questioni riguardanti il cinema digitale nasce dal fatto che questa accoppiata di termini non paragonabili vuol dire tutto e non vuol dire nulla. E’ digitale un film montato con tecnologia digitale? O uno girato con tecnologia digitale? O forse uno nel quale l’immagine viene manipolata digitalmente per fare degli effetti speciali? O ancora un film che viene distribuito mediante tecnologia digitale? Gli americani, che di cinema – nell’accezione industriale del termine – si intendono molto, hanno intanto deciso che la definizione digital cinema sia applicabile solo ad un anello specifico della catena cinematografica: la distribuzione. La definizione E-cinema si applica invece ai processi di lavorazione dei film (soprattutto ripresa). Per quale motivo, poi, abbiano deciso che digital cinema significhi l’una cosa ed e-cinema significhi l’altra, temo sia vagamente oscuro anche a loro stessi, ma tant’è, almeno ci hanno provato.

Al NAB sono state presentate novità interessanti per entrambe le definizioni. Sul fronte delle riprese, naturalmente, la SONY spinge la Cine Alta, la (ormai non più nuovissima) macchina da presa HD. Telecamera sulla quale Sony punta molto, e che ha acceso l’entusiasmo di parecchi registi e produttori, la Cine Alta è oggi presente in Italia in tre aziende, Toomotion, Eta Beta, e Digital Video Service. Il mitico George Lucas, invitato al NAB da Sony, è intervenuto per assicurare che nulla di quanto ha girato per Episode I, al contrario di quanto è stato suggerito da molti, è stato girato in pellicola. Tutto girato con la Cine Alta. E che soprattutto che non vuole saperne di girare in pellicola in futuro, perché la pellicola ha tanti problemi, fra i quali il maggiore è quello di sempre: la scarsa flessibilità del metodo di lavorazione. L’House Organ di Sony, Scene to Screen, riporta un’intervista a Dante Cecchin (Toomotion) nella quale l’imprenditore rivela i progetti di Vittorio Storaro (tre volte premio Oscar per la fotografia) di girare un film, Confucio, con la Cine Alta, per la regia di Giuliano Montaldo. Cosa sta accadendo dunque? Davvero il cinema sta abbandonando la pellicola, prediligendo l’elettronica? L’ho chiesto a Richard Lewis, Chief Engineer di Sony, il quale, pur non essendosi spinto così lontano, mi ha chiaramente prospettato una crescita sempre maggiore del coinvolgimento dell’acquisizione digitale nel cinema. Otto sono i film, girati con la Cine Alta, per esempio, al momento in lavorazione in Inghilterra. Certo, considerata la produzione cinematografica annuale negli USA, in Europa ed in Asia, che si aggira in media sul paio di migliaia di film, la cifra citata da Richard Lewis (anche aggiungendo i film o i corti in lavorazione nel resto del mondo) non crea particolare sensazione. Cioè a dire, “non è ancora scoppiata la rivoluzione”. Otto film non sono poi molti, e probabilmente ce ne sono molti di più, ancora oggi, che vengono girati in 70mm o persino, perché no, in Super8. Ma questo vuol dire poco. Perché la Sony è potente ed in grado di sostenere le proprie macchine, perché l’idea di girare in digitale offre obiettivamente alcuni vantaggi (ed alcuni svantaggi), perché gli otto film non sono, presumibilmente, otto film qualsiasi girati da persone qualsiasi, perché molti non vedono l’ora di abbandonare le costrizioni dei giornalieri in favore dell’immediatezza del digitale. Per quanto riguarda il risparmio, quello dipende interamente dal tipo di film, e la Sony, per bocca di Lewis, non sostiene che vi sia necessariamente un risparmio nell’uso della 24p rispetto all’uso della pellicola.

Comunque c’è sempre da ricordare l’osservazione in merito fatta qualche tempo fa da un grandissimo Direttore della Fotografia, Giuseppe Rotunno. L’inventore del Super 35, Direttore di Fotografia esordiente in Senso (1953), di Luchino Visconti, amato collaboratore di personaggi come Federico Fellini e Bob Fosse fu, qualche tempo fa, da me intervistato per conto della Technicolor, che voleva fare una piccola pubblicazione celebrativa in collaborazione con la rivista Cinema & Multisala. Parlando di tecnologie digitali, osservò che la vera differenza tra pellicola e digitale sta nel fatto che mentre se uno sviluppa la pellicola non può che venir fuori maggiore dettaglio, non possono che uscire maggiori informazioni, più si va in fondo ai pixel più le informazioni si perdono. Osservazione molto semplice ed altrettanto trascurata dai fautori del digitale nel cinema: significa che la minore qualità dell’immagine elettronica rispetto a quella sviluppata con processi chimici, è strutturale. E’ vero tuttavia che, arrivati a certi livelli di sviluppo tecnologico, questa minore qualità non risulta più percepibile dall’occhio umano. Questo lo sanno anche le altre grandi aziende che si stanno muovendo per realizzare o che hanno realizzato macchine da presa elettroniche per il cinema, come Panasonic che ha portato al NAB l'AJ-HDC24A, telecamera DVCPro HD multiformato, dotato di CCD da 2/3 di pollice con risoluzione effettiva di 1.280 x 720 pixel e a scansione variabile, da 24p a 60i.

Poi c’è la post-produzione. Quinta colonna dell’elettronica nel mondo del cinema, la post-produzione è stata la prima fase produttiva a conoscere le rivoluzioni permesse dal digitale. Ormai non si fanno quasi più film che non vengano almeno montati con sistemi informatici. Al NAB di quest’anno i grandi costruttori continuavano a mettere in mostra sistemi sempre più sofisticati per gestire la post-produzione cinematografica – dal montaggio off line a quello on line, dagli effetti speciali ai telecinema, dal restauro al ritocco del colore. C’è, a proposito di questo, da ricordare iQ di Quantel, piattaforma piuttosto sofisticata per la manipolazione digitale delle immagini che permette la coesistenza di risoluzioni diverse, cioè dalla più bassa al 2K, senza lunghi processi di conversione. In pratica – com’è nella filosofia Quantel consolidata – il sistema tratta tutte le immaghini allo stesso modo – virtuale – fino al momento dell’uscita, nel quale si decide il formato con il quale si vuole portare il lavoro fuori dalla macchina. Solo allora vengono operate le conversioni. Dal punto di vista del cinema questa è un’ottima cosa, perché le immagini vengono trattate (montate, sottoposte a correzione colore, composte, integrate da effetti 3D ecc.) nel loro formato nativo. Poi vengono convertite in HD per l’uscita. Sempre per quanto riguarda l’edizione cinematografica, anche Da Vinci e Cintel hanno portato delle novità a Las Vegas. Se la prima ha presentato la versione 2k del Colour Enhancement System – sia per il video che per il cinema – e l’Rs2 per il restauro che, con il modulo deFlicker permette di eliminare variazioni colorimetriche e/o della luminosità in modo automatico, la Cintel ha portato a 4K la capacità di scansione del C-Reality, alla velocità di un fotogramma al secondo. Tutti gli altri – da Avid a Discreet, hanno dimostrato miglioramenti vari dei software. Tutti i costruttori, che traggono origine e forza dall’esperienza di digitalizzare i processi lavorativi della televisione, si sono, nel bene e nel male, accostati al cinema. Per questo c’è una ragione specifica e molto valida.

C’è da considerare che oggi, il cinema non è più solo quello che si vede in sala. E’ – ormai da tempo – anche quello che si vede in televisione. Ma oggi è anche quello che si vede nei DVD, su Internet, sulle pay-per-view, sul cavo, sul satellite, con l’home theatre eccetera. In altre parole i canali distributivi del cinema sono aumentati a dismisura. Se questo dovrebbe, a rigore, aumentare il numero delle produzioni, di certo aumenta le difficoltà ed i costi dei trasferimenti di pellicola sui vari supporti necessari. Immaginiamo un film, magari pieno di effetti speciali realizzati con tecnologie digitali, che debba:
1. Uscire in sala; 2. Uscire su DVD; 3; Uscire in TV, sia negli USA che in Europa; 4. Essere pubblicizzato su Internet; 4. Finire sul satellite.
Non sarebbe utile (nel senso di più efficiente e meno costoso) che il formato originario non fosse la pellicola, ma il molto più manipolabile supporto digitale?

Per quanto riguarda, infine, il d-cinema, la distribuzione e la fruizione elettronica dei film, c’è chi si sta dando molto da fare. Tra questi, il Gruppo Thomson, per mano proprio di Technicolor che, avendo stipulato un joint venture con l’americana Qualcomm, ha creato Technicolor Digital Cinema, cioè una divisione che si occupa di sviluppare un progetto di distribuzione elettronica del cinema in sala. I vantaggi della distribuzione elettronica sono molti, soprattutto per i distributori. Produrre copie in pellicola è una faccenda parecchio costosa (più o meno sui 4-5 milioni la copia) ed il cinema americano implica la produzione di centinaia di copie. A volte, di migliaia di copie. C’è sempre il rischio di produrre più pizze di quante il mercato non ne richieda effettivamente o, per contro, di produrne meno del necessario. Ci sono i costi di spedizione e di assicurazione. C’è la pirateria (le copie a volte ‘spariscono’ per poi ricomparire sotto forma di VHS di dubbia provenienza), ci sono gli errori/orrori degli spedizionieri...tutte cose molto dispendiose che la distribuzione elettronica debellerebbe. Technicolor Digital Cinema sta conducendo un esperimento in diverse sale del mondo – ma in Italia non ce ne sono – per vedere se la riconversione industriale sia possibile, oltre che auspicabile. Il primo problema da risolvere è il modo di trasferire il contenuto di un server remoto – i film – a sale sparse per il mondo. La risposta è costituita dalla larga banda ed i protocolli IP, che consentono al satellite (la cui modalità multicast permette di indirizzare il materiale in spedizione verso gruppi d’utenti, in questo caso le sale, diversi) di trasmettere i film a qualità accettabile. Naturalmente quella della qualità visiva è una questione fondamentale: il cinema è prima di tutto un’esperienza visiva, non si dà il caso che si possa rinunciare alla qualità.
E qui entrano in gioco i produttori di video proiettori – Barco, Christie Digital Systems, Digital Projection sono le tre marche di riferimento del settore. Tutte e tre fanno uso del chip della Texas Instruments per la proiezione cinematografica. Technicolor Digital Cinema, peraltro, non è l’unica società impegnata in questo genere di ricerche. Non c’è dubbio che il d-cinema avrà un futuro. Bisogna solo aspettare qualche anno, e vedere: se son rose, come si dice, fioriranno.

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