news 16 ottobre 2001

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Un anno fa moriva Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale

ESATTAMENTE un anno fa, il 16 ottobre del 2000, si diffondeva la notizia della morte di Antonio Russo, il cronista di Radio Radicale specializzato in missioni impossibili.

Moriva di morte violenta, quasi certamente assassinanto, quasi certamente per mano dei servizi segreti russi, ai confini tra Georgia e Cecenia, dove stava seguendo, con il consueto coraggio, le tragiche vicende della guerra fra le truppe di Mosca e gli indipendentisti. Una guerra tremenda, che pare abbia causato un milione di morti, sulla quale un velo di indifferenza e di cinismo è stato calato (in modo ormai definitivo, pare, in questi giorni di guerra santa) da parte di istituzioni e media d’Occidente.

VOGLIAMO ricordare, come già abbiamo fatto in passato, la figura di questo giornalista libero fino alla temerarietà, senza padroni se non quello di un istinto per la notizia e una passione per il mestiere che lo hanno portato in gran parte dei luoghi del dolore del mondo: in Ruanda e in Algeria, in Colombia, in Kosovo. A raccontare storie dimenticate. A fare un limpido lavoro di contro-informazione, cioé di informazione contro le verita del potere. Proprio in Kosovo, è storia nota, rimase da solo sotto le bombe, quando tutti i “colleghi” erano stati costretti ad andarsene.

E PRATICAMENTE da solo era rimasto - prima che questa ostinazione gli costasse la vita - a raccontare la tragedia vissuta dal popolo ceceno. Una tragedia che nei suoi aspetti più foschi (l’interesse economico che ne sta alla base, la motivazione politica, “domestica”, della famiglia Eltsin che l’ha alimentata, l’accanimento inusitato contro la popolazione civile, la torbida identificazione di un intero popolo con i terroristi) nessuno aveva l’interesse, il coraggio, vorremmo dire semplicemente la radicale professionalità giornalistica di raccontare.

E FACEVA tutto questo, Antonio Russo, attravero la radio, un mezzo che in troppi hanno dato troppe volte per spacciato, e che si rivela puntualmente di una modernità semplicemente sorprendente, quando lo si usa con intelligenza e passione. Antonio affidava alla voce i suoi reportage, non li leggeva, li “parlava”, con il semplice ausilio di qualche appunto, al telefono; altre volte affidava alla Rete le informazioni di cui veniva in possesso, consegnandoli al sito www.radioradicale.it, (che continua ad aggiornare il malinconico e indignato dossier che lo riguarda). E pare che stesse per inviare alcune novità scottanti proprio sul potere putiniano prima di esserne ucciso.

ANTONIO - è bene ricordare anche questo, nel ricordarne il sacrificio - non parlava, non avrebbe potuto parlare a una radio qualunque: parlava a Radio Radicale. Ognuno può avere - legittimamente - la propria opinione (non di rado tremendamente critica, talora addirittura infastidita) sull’emittente del gruppo di Pannella. Ma nessuno, crediamo, può disconoscerle alcuni meriti. Uno è aver dato la possibilità agli italiani di ascoltare la politica in modo integrale, senza i filtri e le censure di cui sono specialisti i “giornalisti” leccaculo. L’altro è quello di aver messo in condizione individui integri come Antonio Russo di fare il giornalista (rigorosamente senza tessere!) e di farlo in modo radicale. Cioé libero. Perché fare giornalismo in modo libero è possibile, anche se difficile. Occorrono due condizioni: un editore e un giornalista. Entrambi liberi. Difficile, vero?

Anche per questo, rinnoviamo le condoglianze a Radio Radicale. E ci raccogliamo in un pensiero di gratitudine ad Antonio Russo.


Piero Ricca
Nota:
nei giorni dello Smau, lo scorso anno, incontrammo il capo degli esteri de Il Giornale, gli chiedemmo se avesse notizie sul caso Russo, ancora caldo di cronaca. La risposta fu: “da quel che ci risulta, è morto in un incidente stradale, pare bevesse, probabilmente qualcuno l’avrà investito”. Questo è un esempio dell’altro giornalismo italiano, quello maggioritario, tanto in voga da sembrare, in certi giorni, quello vero, l’unico possibile.

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