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NEWS 10 febbraio 2000

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La par condicio è legge
di Piero Ricca

“Mentre a Roma discutono, Sagunto è espugnata”: così dicevano i Latini a proposito di certe chiacchiere anacronistiche.
La Sagunto di un equilibrato assetto radiotelevisivo, nell’Italia di oggi, è espugnata da un pezzo, ma a Roma il 4 febbraio 2000 hanno approvato una legge. Si chiama “Par condicio”; introduce elementi di parità di accesso alla comunicazione politica; in Europa è cosa scontata; in Italia ha determinato una battaglia epocale. Si sono scomodati perfino i principi, sono volate parole grosse, peccato che quasi nessuno di quanti hanno tuonato avesse sufficiente credibilità anche solo per sussurrare.
Ma così è. Chi tocca i fili della tv in questo paese rischia grosso.
In questi anni ne abbiamo viste di tutti colori: un monopolio pubblico che, senza fare servizio pubblico, ne giustifica uno privato impostosi come la fiera meglio attrezzata alla giungla; tetti di affollamento pubblicitario sistematicamente tragrediti; direttive europee e sentenze della Corte Costituzionale considerate meno che carta straccia; ogni azione volta alla riapertura del mercato furbamente spacciata, e dunque efficacemente disinnescata, come attentato alla libertà d’impresa: questo e molto altro è avvenutio in barba alla natura pubblica di un bene come l’etere e alla sua delicata centralità dentro a una moderna democrazia: il tutto sotto lo sguardo stupefatto di troppi sottili dottori: gli stessi che oggi si stracciano le vesti o intonano peana di rivalsa.
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Ma torniamo alla leggina. Eccone i punti principali.
Sono vietati gli spot a pagamento in campagna elettorale e fuori dalla campagna il divieto è totale per le tv nazionali. In sostituzione degli spot sono previsti messaggi autogestiti sempre gratuiti. Durante la campagna elettorale, l’azienda di Stato è obbligata a trasmettere i messaggi autogestiti dei vari partiti, di durata da 1 a 3 minuti, i quali comunque non possono interrompere i programmi. Ogni partito ha diritto a due messaggi al giorno. In campagna elettorale, solo le emittenti locali possono vendere spazi per messaggi (al massimo tre per ciascun partito). A pagarli sono sia i partiti (con sconto del 50%) sia lo Stato attraverso un apposito fondo di 20 miliardi. Sempre durante la campagna elettorale, la Rai e le stazioni private, oltre a ospitare i messaggi, sono tenute a organizzare gratuitamente le tribune politiche e i confronti fra i diversi candidati.
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Ebbene: questa sarebbe, qui e ora, una legge liberticida? In realtà è solo una legge declamatoriamente democratica, tardiva rispetto ai danni che vorrebbe sanare, effettualmente disutile se non ci si decide una volta per tutte a prendere il toro per le corna. Di quale toro parliamo? Della qualità della comunicazione televisiva in funzione delle nuove tecnologie e alla luce del principio costituzionale della parità di accesso all’informazione. Le corna invece sono, come di consueto, due: da un lato la professionalità giornalistica, dall’altro una reale concorrenzialità editoriale: due miraggi, purtroppo, nel deserto delle regole in cui ci troviamo. E’ quasi impossibile farcela, ma sarebbe bello provarci, a cominciare da leggi serie tanto sul conflitto d’interessi quanto in direzione antitrust come pure da una riorganizzazione del mercato che abbia come perno la privatizzazione della Rai, se mai tali iniziative approderanno al voto. E magari (possiamo dirlo?) abbattendo per legge il vero fortino della disinformazione: l’ordine dei giornalisti.
Il resto sono lagne e proclami tra le rovine di Sagunto.
O almeno così ci appaiono.